CGIL Valle d'Aosta
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Congresso Spi, l'intervento del segretario dei pensionati valdostani Domenico Falcomatà


"Guardiamo avanti, all'idea di un nuovo sindacalismo unitario e confederale". È il commento di Ivan Pedretti, confermato alla guida dello Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil. Ad eleggerlo, con il 90% dei consensi, l’assemblea generale che si è riunita in conclusione dei lavori del congresso nazionale che si è tenuto dal 9 all’11 gennaio al Lingotto di Torino e a cui hanno partecipato oltre 700 delegati e delegate provenienti da tutta Italia. Anche il segretario Spi Cgil Valle d'Aosta Domenico Falcomatà ha rivolto gli auguri di buon lavoro al segretario Pedretti. In occasione del congresso nazionale Falcomatà è intervenuto, toccando vari aspetti da quelli nazionali a quelli della nostra regione: "Ho ascoltato la relazione del nostro segretario generale  e ne condivido pienamente i contenuti. Una condivisione non formale che mi consente di affrontare alcuni temi che ritengo importanti  per la nostra organizzazione e che sono stati toccati nella maggior parte degli interventi precedenti.
Siamo in una fase particolarmente difficile del nostro Paese di cui, solo un anno fa, nessuno di noi poteva prevedere gli effetti, scaturiti in un clima politico-sociale, che nessuno poteva immaginare si instaurasse. Penso sia questa l’occasione per riflettere a fondo su ciò che accade nel Paese e in generale nella politica. 
 
Credo quindi che non sfugga a nessuno quanto sia necessario esplorare, approfondire e agire contro i fenomeni che in poco tempo hanno fatto dell’Italia un paese dove la deriva razzista e xenofoba mette a dura prova la coesione della società e gli stessi principi Costituzionali.
Abbiamo vissuto in questo ultimo decennio un periodo eccezionale e grave sotto tutti i punti di vista. I lavoratori, i pensionati, i giovani hanno sopportato e sopportano tutt’ora gli effetti di una delle più grandi e lunghe crisi economiche del Novecento, amplificata in tutta Europa dalle politiche di austerità. L’economia del nostro Paese per le endemiche debolezze del sistema produttivo e per la disparità territoriale tra Nord e Sud ha subìto un crollo che ha colpito duramente tutto il nostro sistema economico. 
Le politiche sbagliate, messe in atto per contrastare la crisi, hanno creato forti diseguaglianze, svalutato il lavoro e ridotti i diritti; hanno determinato una forte disoccupazione, soprattutto giovanile, e allargato fortemente l’area della povertà e dell’insicurezza sociale, compromettendo gravemente i principali pilastri del welfare universale - la sanità e la scuola - e indebolito la previdenza. 
Questa situazione ha suscitato nelle persone una reazione che si è tradotta in frustrazione, rancore, indignazione e ribellione verso chi, al governo del Paese, non è stato capace di rispondere efficacemente alla mancanza di lavoro, alle migrazioni di massa, all'aggravarsi delle diseguaglianze, determinando le conseguenze non solo sociali ma anche politiche che tutti noi conosciamo. 
In questo contesto non certo rassicurante, l’Europa deve cambiare passo, deve attuare misure economiche espansive capaci di produrre cambiamenti sul piano delle politiche economiche e sociali, recuperando la distanza che si è prodotta con i cittadini proprio sul terreno sociale, che è una delle ragioni del diffondersi dei movimenti anti-europeisti e sovranisti. Se ciò non avvenisse e non si percepisse un vero cambio di passo, alle prossime elezioni europee ormai vicine, rischiamo che prevalgano quelle formazioni politiche che vogliono depotenziare le istituzioni europee. Servono cambiamenti profondi. Si sente forte la mancanza di un'Europa sociale e politica, un’Europa dei popoli. Bisogna trovare la via che ci porti a superare la crisi delle istituzioni europee e a contrastare l’affermarsi dei cosiddetti sovranismi. 
E anche noi dobbiamo fare la  nostra parte. Lo abbiamo detto in più occasioni: è necessaria  una più incisiva azione sindacale della CES e della FERPA per un sindacato europeo capace di contrattare diritti e salario per ogni lavoratore europeo, per migliorare la condizione degli anziani, tutelando i servizi pubblici in campo socio-sanitario e per mantenere il valore delle prestazioni pensionistiche.
A questi sentimenti di antieuropeismo,  ormai diffusi in molti Paesi dell’Unione bisogna reagire senza sottovalutazioni e con tempismo, riscoprendo lo spirito di solidarietà e convivenza civile che fu alla base della Resistenza e della nascita della stessa Unione Europea. Riaffermare e diffondere con forza i valori della lotta di Liberazione, dell’Antifascismo e della Costituzione sono l'antidoto più efficace per combattere il diffondersi dell’intolleranza, del razzismo e la costruzione di muri e barriere. 
 
L’unione Europea pur con tutte le sue debolezze, contraddizioni ed errori ha, tuttavia,  garantito settant’anni di pace. L’Europa deve promuovere una nuova stagione di giustizia sociale che contrasti il degrado, l'abbandono e la povertà, elementi di cui si nutrono tutti i neo-fascismi, deve mettere al centro della sua azione il lavoro e le prospettive per le giovani generazioni.
Il cosiddetto Governo del cambiamento, dal suo insediamento ha adottato una strategia molto precisa in questo senso.  Al perdurare della crisi con l’impoverimento inesorabile del Paese, all’incapacità di affrontare i veri problemi quali quello della legalità, dell’evasione fiscale, dello sviluppo, dell’occupazione, della previdenza, dei giovani, si accompagna un degrado etico e morale del sistema politico, a tutti i livelli delle istituzioni.  
La politica, cui spetta la responsabilità di risollevare il Paese, oltre ai gravissimi e frequenti episodi di corruzione che ormai la pervade in tutti i suoi ambiti, locali e nazionali, ha perso di vista le priorità da affrontare e gli interessi della collettività, continuando ad avvitarsi in una pericolosa autoreferenzialità, dove quel che conta di più è alimentare risentimento, odio e rancore verso gli altri, siano essi le istituzioni europee o i migranti, nel tentativo di spostare l’attenzione dai veri grandi problemi irrisolti del Paese. Ne è un esempio la manovra economica appena varata dal Parlamento. Una manovra sbagliata  è ingiusta, pasticciata che non contiene le misure espansive necessarie e non tocca il capitolo degli investimenti, ma, al contrario, caratterizzata da provvedimenti, che potranno  solo peggiorare la situazione esistente. 
In questo quadro di disuguaglianze sempre più marcate, lo SPI dovrà continuare come peraltro sta facendo quella sua azione di rinnovamento ed essere capace di porsi come sindacato che sa dare risposte, che prova a trovare le soluzioni per interpretare i nuovi bisogni che emergono da una società in continuo cambiamento, in cui le persone vivono più a lungo e in maniera più attiva. 
Quali condizioni di vita dovranno essere garantite? Che tipo di società sarà necessario progettare? Quale nuovo modello di welfare applicare per garantire un invecchiamento attivo e dignitoso? Abbiamo davanti a noi l’innovazione tecnologica che avanza velocemente, quali città progettare, quali infrastrutture, quale mobilità per un mondo che cambia così rapidamente. Occorre quindi essere consapevoli che l’unica via per governare questo fenomeno, ormai inarrestabile, passa attraverso la contrattazione e una legislazione che non può solo rimanere in ambiti nazionali, ma che deve essere estesa in un quadro europeo.
Dovremo essere capaci di interpretare i bisogni della popolazione anziana per tradurli in vere e proprie rivendicazioni. Sicuramente una sfida, in una realtà molto più complessa che, però, non possiamo non cogliere.
L’invecchiamento della popolazione, il rischio che le nuove tecnologie si trasformino in strumenti di esclusione, anziché di semplificazione, ci pongono una serie di problemi inediti. 
Dovremo essere in grado, di cogliere fino in fondo quanto le trasformazioni sociali più evidenti, rappresentate anche dall’invecchiamento della popolazione, possano generare nuovi bisogni, nuovi diritti, nuove patologie e, di conseguenza, poter rivendicare un nuovo modello di stato sociale che sappia farsene carico adeguatamente.
Il sindacato pensionati ha di fronte a sé la necessità di ricomprendere nella sua tradizionale azione di tutela della salute e della non autosufficienza, quella della socialità, della partecipazione e dell’invecchiamento attivo, perché gli anziani ricomincino ad essere considerati una risorsa per la crescita  delle comunità. 
 
Per rispondere, quindi, alle profonde trasformazioni in atto nella società e ai nuovi bisogni e diritti, dobbiamo essere in grado di capire questi fenomeni in profondità, comprenderne gli effetti sulle persone anziane ed essere capaci di elaborare proposte e soluzioni, contrattando migliori condizioni e risposte idonee che soddisfino tali nuove necessità.  Occorre saper interpretare ed intervenire sui grandi cambiamenti non solo economici, sociali e politici ma anche su quelli che si determinano nel vivere il proprio territorio, grande o piccolo che sia, intervenendo e negoziando le politiche abitative per evitare che si creino luoghi in cui l’abitare, il vivere la comunità generi solitudine, disagio sociale, abbandono ed esclusione. E ciò non avviene solo nelle grandi metropoli, ma anche nelle realtà più piccole per dimensioni come la mia Regione, la Valle d’Aosta, dove molto spesso, anche se parliamo di una realtà ancora a diffuso benessere e non viviamo le forti contraddizioni e tensioni delle grandi aree urbane, a pagare il prezzo più alto sono ancora gli anziani e i giovani.
 
Penso sia molto importante rafforzare l’insediamento territoriale dello SPI ed estendere per questa via la contrattazione. Credo sia arrivato il momento di fare nostre le tematiche del sindacato generale che, in questo caso, non guardi solo alla contrattazione sociale e alla non autosufficienza ma che allarghi il suo agire, rivendicando con forza l’esigenza di contrattare fiscalità e bilanci locali, misure contro la povertà e l’esclusione sociale, politiche sanitarie e quelle abitative, nella convinzione che come sindacato abbiamo tutti gli strumenti per agire in tal senso, consapevoli che sono gli stessi pensionati e le loro famiglie a chiedercelo. Ecco, la sfida sta in questo, saper cogliere questi cambiamenti, saperli interpretare e adattare ad una società, che ha e avrà esigenze sempre più diverse e complesse, per riuscire a costruire un futuro migliore, senza subirlo passivamente.
 
Intercettare le persone, siano essi pensionati o lavoratori, poter esercitare il nostro ruolo di tutela è però sempre più difficile, perché il cambiamento in atto del mondo del lavoro è di grandi proporzioni. 
Cambia il lavoro nella sua tipologia contrattuale sempre più precaria e cambia il modo di produrre. Sono sempre meno i grandi insediamenti industriali di un tempo e tutto si frammenta, si segmenta, si trasforma in aziende di dimensioni molto piccole e diffuse sul territorio. Tutto questo rende più complesso esercitare il nostro ruolo di sindacalisti. Le trasformazioni economiche e sociali, i cambiamenti avvenuti nello stato sociale e nel mercato del lavoro, le modificazioni strutturali delle imprese, le nuove forme di emarginazione sociale, richiedono un vero sforzo di cambiamento, culturale e organizzativo della nostra attività. 
In questo contesto, il territorio diventa centrale per intercettare ed unire i lavoratori - invisibili ai più - e sicuramente con un maggior  bisogno di tutela. Insomma il territorio come  luogo, in cui esercitare un’attività sindacale diffusa. Far sentire la nostra vicinanza attraverso gli attivisti e volontari, nelle nostre sedi e in altri luoghi di aggregazione, questo modalità d’approccio, può risultare efficace e i risultati possono essere molto positivi per lavoratori e pensionati. 
 
Prima di parlare della mia Regione vorrei parlare del nostro Congresso perché ritengo sia necessario un rilancio dell’unità della Cgil che serva a superare ciò che in questi mesi non si è potuto realizzare.
Sono fermamente convinto e che a questo punto non vi siano alternative a questo percorso e che questa sia la via obbligata da percorrere. 
Sono pertanto, perfettamente d’accordo con l’appello lanciato, nella sua relazione introduttiva  dal nostro Segretario  generale, Ivan Pedretti, rivolto allo SPI e alla CGIL con il quale  da un chiaro segnale per trovare le regole e gli strumenti adeguati che portino ad una soluzione positiva di ricomposizione unitaria dell’organizzazione.
Penso che il primo dovere che abbiamo come gruppo dirigente, sia quello di salvaguardare il bene della nostra organizzazione e degli iscritti.
Auspico per tali ragioni che questo Congresso possa contribuire fortemente a dare quel segnale utile a svolgere l’ormai prossimo Congresso nazionale della Cgil di Bari nella massima chiarezza e che abbia come obiettivo quello di svolgere e concludere i lavori congressuali nel pieno rispetto delle regole e in maniera unitaria. 
 
Nella nostra Regione, il welfare è ancora di buon livello, anche se ha risentito della crisi e del forte calo di risorse pubbliche. In questi anni abbiamo sollecitato i Governi regionali e i Comuni più importanti, affinché si affrontassero per tempo alcune criticità e affinché, in un contesto politico ed economico che ha assunto una deriva particolarmente preoccupante, fossero messi in sicurezza alcuni capisaldi del sistema esistente, chiedendo e ottenendo miglioramenti per quanto concerne le prestazioni socio-assistenziali. 
Tuttavia l’analisi dei dati del bilancio regionale 2017-2018 ci dice che i fondi a disposizione del sistema sanitario e socio-assistenziale subiscono sensibili contrazioni e che la situazione desta più di una preoccupazione. In particolare per la riduzione di personale, di strumentazione e di strutture. 
Sul settore socio assistenziale vi è una inadeguatezza organizzativa, a cui si sta tentando di porre rimedio al fine di scongiurare dispersione di risorse economiche. Vi è la necessità di un sistema di tariffe da rendere omogenee ed eque, oltre alla necessità di unificare i livelli delle prestazioni regionali (disabilità e centri diurni) e locali (micro comunità). 
Nel 2016 abbiamo sottoscritto unitariamente come organizzazioni sindacali dei pensionati, confederazioni e categorie, un protocollo d’intesa con l’Amministrazione regionale allo scopo di trovare le soluzioni più adeguate per risolvere le criticità esistenti e con l’ambizione di riscrivere un nuovo modello di welfare che, da una parte desse risposte migliori ed efficaci alle famiglie in termini di qualità del servizio e tariffe, e dall’altra superasse la frammentazione gestionale presente, ottimizzando così il livello dei servizi. 
Le vicende politiche regionali di questi ultimi anni sono state elemento di stallo di ogni qualsivoglia avanzamento concreto. 
Sul settore sanitario fino a pochi giorni fa commissariato, si ripercuotono le conseguenze di tagli che, oltre ad avere risvolti sull’organico, hanno riflessi negativi sulle liste d’attesa, sulla qualità delle prestazioni, alimentando la cosiddetta sanità passiva o inducendo le persone a rinunciare alle cure. Vi è poi un sistema di ticket troppo costoso per la diagnostica e la specialistica. A questo va aggiunto il lavoro di rete e d’interfaccia tra il presidio ospedaliero del capoluogo regionale e il territorio, che è sicuramente deficitario, e non in grado di dare risposte sufficienti alla comunità valdostana. Siamo di fronte ad un peggioramento del livello e qualità dell’assistenza legato anche ai tagli delle dotazioni finanziarie. Si avverte, inoltre, quanto questo fenomeno sia forte, ed in controtendenza rispetto al passato, dalla scarsa appetibilità del sistema sanitario valdostano per le professionalità mediche ed infermieristiche, che abbandonano la Valle d’Aosta per la vicina Francia e Svizzera o per le regioni del Nord Ovest. 
Non di poco conto per il personale medico è il blocco nel dover superare la prova di lingua Francese nei concorsi d’accesso alla professione. Tema sul quale occorre fare una riflessione approfondita.
 
Ritengo che la nostra azione debba allargarsi e andare oltre  alla contrattazione in ambito sociale e sanitario, anche se può sembrare una sfida difficile e un obiettivo ambizioso.  
Sarà necessario mettere in campo, possibilmente in modo unitario, proposte per affrontare i grandi mutamenti sociali. Esplorare il campo del disagio, della povertà, dell’invecchiamento e degli effetti dell’innovazione torna ad essere argomento centrale anche nelle dinamiche regionali. La Valle d’Aosta, considerata dai più una regione di privilegi, non è più più quella realtà di benessere, quell’isola felice di cui si è parlato fino a qualche tempo fa, dove si distribuivano risorse a pioggia senza alcuna logica e programmazione, e a farla da padrone era il clientelismo e il voto di scambio.
 
Oggi quelle grandi disponibilità finanziarie (ma non il clientelismo diffuso e la corruzione) sono venute meno (-40% di entrate da bilancio regionale in sei anni) e ci troviamo di fronte ad una crisi di sistema senza precedenti. La disoccupazione all’8%, quella giovanile arriva a sfiorare il 27%, un indice di rischio povertà del 7,0% e un forte aumento (dal 5% al 9,4% con quasi un raddoppio nel periodo 2011-2015), delle persone che si trovano in condizioni di grave deprivazione materiale, un tasso di abbandono scolastico tra i primi in Italia, una grave dipendenza da alcol tra i giovani e gli anziani.
La Valle d’Aosta registra da anni il più alto tasso medio di mortalità per suicidio (standardizzato e specifico per 100.000) 13 contro una media italiana di 7,99 e ha una struttura pubblica di salute mentale di soli due medici.

Carenza di lavoro, precariato diffuso, forte disagio sociale nei giovani e negli anziani, sono alcuni degli elementi che ci devono portare a rafforzare la nostra azione sindacale. Cercare ed esercitare il confronto e la contrattazione con la parte pubblica, motore trainante e predominante del sistema Valle d’Aosta, a cui proporre misure di welfare locale e di sostegno alle fasce deboli, presidio del territorio, qualità e fruibilità del servizio sanitario, misure per un invecchiamento dignitoso".  




Articolo del 12/01/2019

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